In questo contesto variegato dei videogiochi, che spazia dall’oscurità estrema alla completa esuberanza, l’unico elemento costante al di fuori dei già menzionati King’s Field era rappresentato da una singola serie: Armored Core. Si trattava di una serie di giochi d’azione dall’ambientazione fantascientifica, che concedeva al giocatore l’opportunità di personalizzare a piacimento giganteschi mech da combattimento. Queste creazioni, chiaramente ispirate da Gundam e concetti affini, costituivano senza dubbio i titoli più pregevoli dell’incipiente fase di FromSoftware, caratterizzati da un concept così innovativo da guadagnarsi lo status di “piccolo culto” in Giappone.
Tuttavia, provenendo da un periodo in cui l’azienda giapponese non disponeva nemmeno lontanamente delle risorse attuali, questi giochi non sono mai riusciti a sfruttare appieno il loro potenziale, nonostante siano stati rilasciati numerosi capitoli ed espansioni di qualità comunque più che accettabile. Pertanto, non è necessario indagare troppo sul motivo per cui l’ufficializzazione di Armored Core 6: Fires of Rubicon abbia colpito profondamente i fan del marchio. Il fondamento su cui si basano i vecchi giochi è un autentico capolavoro per chi apprezza le esperienze su misura per il giocatore; grazie all’esperienza accumulata, una struttura così ben congegnata può essere trasformata in qualcosa di eccezionale, senza nemmeno la necessità di allontanarsi eccessivamente dalle proprie radici.
Evidentemente, FromSoftware ha considerato queste molteplici prospettive, poiché ha affidato la guida del nuovo progetto a Masaru Yamamura, il lead designer di Sekiro e una figura indiscutibilmente di rilievo all’interno dello studio. Per un periodo esteso di sei anni, Yamamura ha cercato con impegno di trovare un equilibrio ottimale tra progressi necessari e il mantenimento della qualità ereditata dai predecessori. Ora, la questione centrale è se quest’obiettivo sia stato conseguito con successo, oppure se gli oneri del passato abbiano dimostrato di avere un peso superiore alle aspettative. Al fine di valutare questo punto e prepararci adeguatamente per la recensione di Armored Core 6: Fires of Rubicon, abbiamo dedicato numerose ore all’esplorazione del gioco. Oggi, riteniamo di essere pronti per stabilire se questo rappresenti veramente il trionfante ritorno di un marchio che ha sempre meritato maggiore attenzione.
Narrativa e struttura: libertà nel fuoco
Nonostante l’utilizzo del termine “sei” nel titolo, il nuovo gioco Armored Core sviluppato da FromSoftware non costituisce un seguito diretto dei capitoli precedenti, ma piuttosto segna l’avvio di una nuova linea temporale all’interno della serie. Questa direzione non è del tutto inedita, va sottolineato, dato che in passato vari capitoli hanno proposto nuove cronologie al fine di introdurre nuove prospettive. Tuttavia, è importante comprendere che il rinnovamento del contesto narrativo ideato da Yamamura non prescinde dalle tematiche fondamentali della serie.
L’universo di Armored Core 6: Fires of Rubicon continua a caratterizzarsi come un ambiente tenebroso e sottomesso all’egemonia delle megacorporazioni. In questa realtà, l’umanità è spesso soffocata dalle brutalità della guerra e dalla frenetica ricerca del profitto, oltre che da forze oscure agenti dietro le quinte.
Questa prospettiva, seppur cinica e distante, che a tratti si avvicina rischiosamente alla plausibile realtà, costituisce un elemento essenziale dell’essenza del marchio. È gratificante osservare questa visione reintrodotta qui con una nuova vitalità. Senza dubbio, il tono richiama similitudini con quello che caratterizza la maggior parte delle altre produzioni di FromSoftware. Pertanto, per molti non rappresenterà una novità. Tuttavia, vi è una distinzione rispetto ad altre opere della stessa casa: la trama è notevolmente trasparente e, giunta alla sua conclusione, presenta soltanto pochi punti oscuri che non sono fondamentali per apprenderne lo sviluppo.
Armored Core 6, va sottolineato, è orchestrato da Yamamura anziché Miyazaki, come si è già potuto notare nell’approccio adottato in Sekiro, dove vi era una chiara propensione a presentare gli eventi in maniera più lineare e comprensibile. Tuttavia, è importante sottolineare che il distacco da Miyazaki e dal suo contributo alla serie non è così netto come potrebbe apparire, poiché si riflette qui in una fedeltà quasi integrale alla struttura di Armored Core For Answer. Questo si evidenzia al punto che per accedere a tutte le varianti di conclusione e acquisire una panoramica esaustiva, è imprescindibile completare la campagna per ben tre volte.
Andiamo più a fondo nei dettagli. Armored Core non si configura come un gioco open world o a macrozone. Dopo un prologo di natura scenica, vi trasformerete in effetti in mercenari, guidati dalla voce del vostro supervisore, Walter. Avrete la possibilità di selezionare diverse missioni proposte di capitolo in capitolo. Nei precedenti episodi, queste missioni tendevano a durare solo pochi minuti, fatta eccezione per Armored Core V e Verdict Day (che peraltro non sempre seguivano questa struttura). La scelta del team di sviluppo è stata quindi quella di introdurre una maggiore varietà di compiti questa volta, includendo un mix di missioni estremamente rapide e eventi più articolati.
Accogliamo sinceramente questa decisione, poiché le missioni fondamentali offrono un valido campo di prova per valutare le prestazioni dei propri mech o condurre alcuni test preliminari. D’altra parte, le missioni più elaborate e intricate evidenziano in modo chiaro l’evoluzione rispetto ai capitoli precedenti e suscitano una maggiore sorpresa grazie alla loro alternanza. Tuttavia, va sottolineato che l’attuale approccio presenta alcune problematiche, le quali meriteranno un’analisi più approfondita nel contesto della successiva discussione sulla difficoltà.
Ritorniamo ora all’argomento delle campagne ripetute, poiché qui si trova uno degli aspetti più intriganti del gioco, ma al contempo anche uno dei più complessi da comprendere per coloro che non sono familiari con la serie. In pratica, Armored Core 6 presenta tre finali differenti, ma ottenere tutti e tre non è possibile in un solo tentativo, specialmente dato l’assenza di una funzione di salvataggio manuale. Il compimento della campagna avviene attraverso una serie di decisioni obbligate, che influenzano le missioni disponibili nel tentativo successivo; affrontare tutte queste decisioni conduce a svelare nuovi eventi chiave nella terza ripetizione, i quali a loro volta permettono di accedere a un epilogo aggiuntivo.
La struttura potrebbe non risultare immediatamente intuitiva, ma dimostra la sua efficacia nell’amplificare gli aspetti positivi di For Answer: l’acquisizione di nuove parti per il proprio mech conferisce un piacevole incentivo a rivisitare i livelli con un approccio diversificato. La durata dei livelli impedisce che l’esperienza diventi eccessivamente monotona. Allo stesso tempo, l’introduzione periodica di nuove missioni o variazioni nei compiti preesistenti (alcuni dei quali si modificano mentre li si affronta) costituisce una gradita sorpresa in grado di arricchire adeguatamente l’esperienza complessiva.
Anche questa soluzione contribuisce al fatto che solo alcune delle missioni principali si svolgono in ambienti estesi e richiedono determinati checkpoint: se la loro ripetizione richiedesse un tempo eccessivamente lungo, l’esperienza risulterebbe notevolmente rallentata. Di conseguenza, è stata una scelta sagace non abbandonare i tempi impiegati nei capitoli precedenti. Inoltre, a ravvivare ulteriormente l’esperienza, c’è la reintroduzione delle battaglie nell’arena, dove il giocatore si trova a fronteggiare altri mech controllati dall’intelligenza artificiale, ciascuno configurato in modo diverso. Pur non rappresentando una rivoluzione, questo elemento interrompe piacevolmente il ritmo del gioco, riservando sorprese anche nelle partite successive; inoltre, è strettamente legato a sistemi di gioco di grande rilevanza, pertanto risulta difficile non riconoscerne il valore.
Pur rispettando le intenzioni di mantenere la coerenza con l’essenza fondamentale della serie, è importante riconoscere che un’esperienza del genere può inevitabilmente incorrere in una certa dose di monotonia. Se da un lato è veritiero che nei titoli degli Armored Core il perfezionamento attraverso la ripetizione delle varie missioni fino al raggiungimento di punteggi impeccabili costituisce un elemento intrinseco del piacere ludico, è fondamentale considerare che coloro che si approcciano a questo gioco potrebbero non essere necessariamente veterani della saga. Addirittura tra gli appassionati esperti, l’obbligo di reiniziare ripetutamente determinate fasi potrebbe causare qualche fastidio.
Questo è ancor più accentuato dal fatto che Rubicon presenta le tipiche sfide insidiose tipiche dei giochi sviluppati da FromSoftware, arricchite da un’aura di notorietà. Inoltre, il sistema di valutazione per le diverse sfide non è applicato automaticamente, ma richiede di essere avviato manualmente dal menu. Questa soluzione, invero, non appare particolarmente razionale e costringe coloro che mirano all’eccellenza a dover ripetere alcune missioni per un minimo di quattro volte per conseguire il punteggio massimo di valutazione “S” in definitiva.
Introdurre salvataggi manuali e una maggiore apertura in questi aspetti avrebbe sicuramente apportato miglioramenti, pur riducendone la lunghezza. Complessivamente, il titolo ha una lunghezza moderatamente superiore rispetto ai suoi predecessori, ma si distingue notevolmente dalla durata dei giochi della serie Souls. Le tre fasi di gioco possono essere completate senza particolari difficoltà in un intervallo di tempo compreso tra 20 e 25 ore, anche se queste tempistiche potrebbero variare significativamente a seconda della capacità di superare le sfide di difficoltà presenti nel gioco.
Gameplay: ingegneria della guerra
La ragione principale per la quale le variazioni nella struttura, sia in termini positivi che negativi, non risultano eccessivamente fastidiose è, come ci si potrebbe aspettare, l’elemento ludico del gioco. Infatti, il fulcro di Armored Core è da sempre stato rappresentato dall’attività di assemblaggio, ovvero la capacità di modificare completamente l’approccio al gioco attraverso le alterazioni apportate al proprio mech. Questo avviene mediante un numero sempre crescente di componenti e armamenti che è possibile ottenere progredendo nella campagna di gioco. Tale aspetto costituisce il pilastro portante della serie, è ciò che la contraddistingue in primo luogo e l’ha resa un oggetto di culto. Ha sempre indotto i suoi appassionati a trascurare le sue numerose imperfezioni del passato. Pertanto, è del tutto opportuno che in questo capitolo tale elemento fondamentale assuma un ruolo più centrale che mai nell’esperienza complessiva del gioco.
In aggiunta, è indubbiamente degno di nota come FromSoftware sia riuscita a rielaborare con tanto successo questo elemento essenziale del gameplay: la personalizzazione costituisce sicuramente una delle componenti più intrinseche e divertenti, ma altresì una delle meno intuitive e comprensibili. Molti dei titoli precedenti tendevano a sommergere l’utente con un eccesso di dati e frammenti il cui scopo era appena accennato, tanto che la curva di apprendimento ha dissuaso nel corso degli anni numerosi individui dall’addentrarsi nella saga. In effetti, diversi capitoli non contemplavano neanche una sorta di guida introduttiva, evidenziando l’attitudine della compagnia, in quel periodo, a trascurare la chiarezza delle proprie opere.
Yamamura si è trovato a dover bilanciare con precisione l’aspetto del design in questa situazione. Da un lato, era necessario evitare semplificazioni eccessive al fine di non alienare gli appassionati, mantenendo la complessità dei sistemi di gioco. Dall’altro lato, non sarebbe stato sensato trascurare l’accessibilità in un titolo che rappresenta una nuova direzione per la serie.
La risposta del direttore è stata quella di eliminare gli eccessi, spingendo al massimo l’effetto che ogni scelta ha sul gameplay. In Armored Core 6, infatti, è più evidente che mai che gli obiettivi e i boss richiedono approcci tattici e decisioni oculate nella creazione del proprio mech. Ciò è particolarmente vero data la maggiore difficoltà del gioco e l’introduzione di nuove e interessanti meccaniche di gioco. Inoltre, in questa edizione, sono disponibili tutorial che consentono di sperimentare diverse configurazioni di mech, offrendo almeno un’idea delle disparità e delle possibili applicazioni.
Nel contesto dell’ultimo aspetto menzionato, tuttavia, il nuovo modello di Armored ha dimostrato un notevole avanzamento qualitativo: nonostante l’assenza di diverse categorie di componenti rispetto ad altri titoli (come l’assenza di radiatori per il surriscaldamento, di radar o di contrappesi per regolare l’equilibrio del mech), ciascuna scelta ora incide in modo più incisivo sulla reattività alle istruzioni del vostro guerriero metallico. In particolare, le gambe giocano un ruolo più marcato nel movimento, poiché i cingolati consentono manovre terrestri rapide ma risultano limitati in altre situazioni, i quadrupedi permettono agilità aerea con un consumo energetico contenuto, mentre le gambe con giunture invertite offrono la possibilità di balzi improvvisi (un’opzione particolarmente adatta a chi preferisce evitare gli ostacoli).
Potrebbe sembrare una considerazione di minore importanza, ma va tenuto presente che questo gioco offre un’esperienza tridimensionale caratterizzata da un movimento altamente dinamico. Inoltre, i boss sono stati oggetto di notevoli aggiornamenti, conferendo loro una maggiore malvagità rispetto al passato, oltre alla capacità di rappresentare una sfida persino per un mech estremamente ben equipaggiato. In tale contesto, le abilità di movimento rivestono un’importanza straordinaria durante gli scontri: la capacità di planare senza difficoltà rende le sfide contro i boss con limitata capacità di elevazione meno impegnative, specialmente quando gli attacchi sono prevalentemente a livello del terreno.
Contemporaneamente, un’accelerazione notevole a quote inferiori consente di avvicinarsi istantaneamente a nemici particolarmente ostici, situati a una distanza intermedia. Per aggiungere ulteriore complessità, tre nuovi elementi hanno trasformato radicalmente i combattimenti contro i boss, rendendoli più intensi e frenetici rispetto alle loro origini. Questi includono l’introduzione di una barra di stabilità, la possibilità di impiegare simultaneamente quattro armi e l’adozione del targeting fisso.
Iniziamo dalla stabilità, la quale non costituisce una variante della stamina. Nel contesto di Armored Core, la sua controparte alla stamina è l’utilizzo dell’energia, che dipende da variabili diverse, principalmente la scelta di un generatore adeguato. La stabilità rappresenta un indicatore che si incrementa a seguito di colpi inflitti all’avversario o subiti da esso. Se questo indicatore raggiunge il limite massimo, si manifesta uno stato di stordimento di breve durata, il quale consente di infliggere danni superiori per un periodo limitato.
Tuttavia, va sottolineato che la mera inclusione di questa caratteristica non trasforma il gioco in una dinamica difensiva e lenta. Questo perché, come già accennato, ora è possibile utilizzare simultaneamente combinazioni di quattro armi diverse. Ogni arma è associata a un grilletto dorsale specifico. Questa evoluzione di Armored Core risulta quindi intrinsecamente aggressiva. La corretta configurazione dei parametri come velocità, impatto effettivo dei proiettili, efficacia delle combinazioni e gittata degli attacchi diviene fondamentale per infliggere danni significativi.
In aggiunta, è rilevabile che alcuni elementi siano tratti dai capitoli precedenti. Questa similitudine con Verdict Day emerge poiché le diverse categorie di danno hanno un impatto variabile sulle difese nemiche, sebbene nell’ambito di tale gioco tale dinamica sia gestita in maniera notevolmente inferiore. La scelta oculata tra impiegare armamenti al laser o al plasma, orientarsi verso proiettili ed esplosivi, oppure optare per un equilibrato mix, si dimostra cruciale nel delineare la differenza tra l’espedita rimozione degli ostacoli e un prematuro esito fatale. Secondo il nostro punto di vista, questa combinazione di fattori è implementata con genialità, poiché la necessità di sopprimere momentaneamente gli avversari e l’importanza attribuita alla selezione di ogni singola arma contribuiscono notevolmente all’approccio tattico durante gli scontri bellici.
Per aumentare le variazioni, è consuetudine che prima di ogni incontro con un boss sia posizionato un checkpoint. Qui è possibile apportare modifiche all’assetto del proprio mech in modo libero, a condizione di avere previamente acquisito i componenti necessari, poiché tali elementi sono disponibili solo all’interno del garage. È evidente come l’esperienza derivante da Sekiro abbia influenzato il direttore nel modulare la sfida attraverso un approccio analogo. Se un’opposizione si dimostra ardua, non è possibile superarla esclusivamente tramite l’accumulo di esperienza, bensì è plausibile agevolarla individuando la strategia chiave. Questa filosofia risulta particolarmente congruente con la serie Armored Core e sottolinea l’ottima decisione di affidare le redini del progetto a Yamamura.
Come precedentemente menzionato, nel contesto di questo gioco, i boss hanno subito notevoli cambiamenti, e persino i nemici di base presentano una maggiore diversificazione – pur rimanendo generalmente di facile eliminazione. Tuttavia, al fine di introdurre schemi offensivi più sfaccettati e pericolosi, il team ha deciso di incorporare un elemento prelevato dagli ultimi giochi sviluppati: il targeting fisso. Inizialmente accolta con scetticismo dai veterani della serie, questa innovazione si è rivelata meno sconvolgente di quanto si pensasse, e in realtà ha contribuito a migliorare l’esperienza complessiva. Secondo quanto dichiarato da Yamamura, l’opzione di mantenere il mirino fisso sul bersaglio è stata introdotta per consentire ai giocatori di concentrarsi meglio sui movimenti del proprio robot, a causa dell’evoluzione dei boss. Tuttavia, è importante sottolineare che posizionare semplicemente il mirino sul nemico e sparare casualmente non risulta efficace, poiché l’atto di mirare comporta numerose sfumature da considerare.
La precisione della mira fissa e quella effettiva differiscono notevolmente: le armi non riescono a seguire il nemico con la stessa rapidità della telecamera. Pertanto, aprire il fuoco da distanza contro avversari inquadrati in modo fisso comporta la perdita di un considerevole numero di colpi. Per ottimizzare l’accuratezza, è essenziale calibrare con precisione un elemento chiamato Sistema di Controllo del Fuoco (FCS), poiché influisce sulla tracciabilità in base alla distanza, persino per le armi a combattimento ravvicinato. Inoltre, l’uso di una modalità di mira “semi-automatica” che coinvolge un controllo manuale della telecamera aumenta in modo significativo il numero di colpi precisi. In aggiunta, solo per i giocatori estremamente esperti, è persino possibile optare per una mira completamente manuale.
Tuttavia, è importante sottolineare che gestirla adeguatamente rappresenta una sfida data la varietà e la rapidità dei movimenti all’interno del gioco. È rilevante notare che il precedente problema di rigidità nel sistema di controllo delle versioni precedenti di Armored è stato quasi del tutto risolto; pilotare il mech risulta ora estremamente soddisfacente grazie alla risposta precisa ai comandi, adeguata alle componenti selezionate. Crediamo fermamente che nessun titolo della serie abbia mai offerto un’esperienza di gioco così appagante. Questo rappresenta un notevole passo avanti.
Difficoltà e progressione: La cura del piombo
Sebbene riteniamo che il lavoro svolto meccanicamente sul gioco sia quasi impeccabile, non possiamo dire altrettanto riguardo alla gestione della curva di difficoltà. Abbiamo già sollevato questa questione discutendo dell’approccio tattico ai boss e dell’importanza dell’assemblaggio. Tuttavia, è evidente che il livello di sfida presenta delle incongruenze, forse ancora più marcate rispetto alle altre recenti produzioni di FromSoftware, che hanno da sempre presentato variazioni significative nella difficoltà. Ciò che contribuisce alla complessa percezione della difficoltà è in parte l’adesione alle strutture passate della serie. Questo ha portato FromSoftware a introdurre missioni relativamente semplici e veloci, alternandole quasi bruscamente a scontri con boss impegnativi. Queste transizioni si intensificano nelle run successive alla prima, in cui le nuove missioni tendono ad essere più ardue rispetto a quelle iniziali.
La situazione attuale non rivela una gravità eccezionale e non sembra causare notevoli disagi, tuttavia è opportuno sottolineare che all’interno della campagna di gioco è presente un boss particolare e ineludibile, che rappresenterà una sfida considerevole per molti giocatori, soprattutto per coloro che sono nuovi e hanno scarsa esperienza nell’assemblaggio. È importante notare che, sebbene questo boss possa sembrare formidabile, è possibile affrontarlo con successo adottando la strategia adeguata. Tuttavia, è innegabile che, rispetto alle sfide precedentemente affrontate, questo rappresenta un picco di difficoltà che appare introdotto senza una pianificazione precisa, potendo beneficiare dell’aggiunta di suggerimenti sulle strategie da adottare. Riguardo alla modalità arena, non riesce a bilanciare l’equazione, poiché, pur comprendendo sfide di combattimento segrete, risulta notevolmente accessibile dall’inizio alla fine. La sua utilità si esaurisce come un mezzo di allenamento specifico per le battaglie contro più mech contemporaneamente.
Il sistema di progressione, inoltre, contribuisce in modo significativo ad aumentare l’entità delle variazioni. Nonostante l’assenza di una struttura a livelli, Armored Core 6 offre la possibilità di migliorare il proprio mech in maniera distinta dagli elementi selezionati. Questo meccanismo richiama in qualche modo il concetto di “tuning” presente in Armored Core 4 e For Answer. Attraverso l’impegno costante in scontri nell’arena, si accumuleranno benefici passivi relativi al danno e alla difesa grazie al cosiddetto Sistema OS. In aggiunta, si avrà l’opportunità di personalizzare il proprio stile di gioco acquisendo nuove manovre o abilità energetiche, particolarmente utili in situazioni di combattimento.
Durante il primo ciclo di gioco, questi vantaggi si mostreranno limitati e la selezione strategica dei chip per lo sblocco sarà cruciale. Tuttavia, raggiungendo il terzo ciclo, si avrà accesso a tutti gli extra sbloccabili, risultando in missioni considerate inizialmente “semplici” che diventeranno ancor più agevoli e nemici precedentemente considerati boss diventeranno pressoché trascurabili.
Le migliorie apportate sono indubbiamente rivolte soprattutto agli appassionati della perfezione, coloro che ambiscono a conseguire il massimo punteggio in ciascun livello. Tuttavia, è innegabile che queste modifiche possano determinare ulteriori variazioni nell’equilibrio del gioco, in un contesto in cui la sfida di per sé già non segue una progressione del tutto lineare.
Siamo, tuttavia, consapevoli dell’intento di introdurre un numero limitato di kit di ‘cura’ e di aree di rifornimento all’interno del gioco. Tale scelta risulta ben motivata: diversi degli incarichi più impegnativi richiedono una gestione oculata delle munizioni e delle risorse disponibili. Queste aggiunte sono state attentamente studiate per favorire il superamento di tali sfide.
Esprimiamo altresì il nostro favore riguardo alla decisione di non consentire un bilancio negativo al termine dei livelli, nonché all’adozione di un valore di vendita dei componenti equivalente a quello di acquisto. Queste disposizioni rendono più flessibile il processo di assemblaggio e incentivano l’utente a esplorare differenti approcci.
Comparto tecnico e PvP: acciaio inox
Dal punto di vista tecnico, non si possono avanzare critiche negative, poiché sembra che FromSoftware abbia apportato significative migliorie al motore grafico per questo Armored Core. Durante la nostra esperienza su PlayStation 5, abbiamo notato un’ottima fluidità di gioco, tempi di caricamento estremamente ridotti e un elevato livello di dettaglio complessivo. Ci ha inoltre sorpreso positivamente la diversità delle mappe e delle ambientazioni, le quali, sebbene non raggiungano l’impatto e la libertà creativa dei giochi di ambientazione fantasy prodotti dalla stessa casa, riescono comunque a suscitare un forte impatto grazie a un’art direction costantemente di alta qualità.
Tuttavia, si rivela una sfida non indifferente sviluppare mappe altrettanto valide, specialmente quando si considera la loro portata in alcune fasi della campagna. In certi casi, ci troviamo di fronte a scenari estremamente vasti e suggestivi, che si discostano notevolmente dalle rovine spoglie riscontrate nei capitoli precedenti, nonostante le proporzioni fisiche. È inoltre notevole l’attenzione mantenuta nei confronti dell’aspetto e del grado di dettaglio dei mech, che si mantiene di prim’ordine. Questo risulta particolarmente apprezzabile se si tiene conto della molteplicità di componenti disponibili per la loro personalizzazione. È persino affascinante osservare la possibilità di ridipingere singolarmente ciascun componente e di apporre adesivi personalizzati su di essi, da collocare in punti strategici. Questa caratteristica sembra quasi sottolineare l’importanza di creare il mech che da sempre si è desiderato guidare.
La capacità del giocatore di muoversi liberamente nelle tre dimensioni influenza notevolmente l’esperienza, tuttavia, il level design di FromSoftware rappresenta ancora un punto di riferimento indiscusso in questo ambito. Le mappe sono attentamente progettate in base agli obiettivi, spesso presentando percorsi alternativi che conducono alla conclusione. Inoltre, sono arricchite da una discreta quantità di segreti, inclusi oggetti unici che possono essere scoperti attraverso l’esplorazione. È vero che in alcuni casi si potevano evitare barriere invisibili che danno origine a zone “divise” (e talvolta risultano scomode durante alcune battaglie). Tuttavia, comprendiamo la necessità di limitare a tratti l’esplorazione al fine di guidare il giocatore e preservare l’orientamento.
Un ulteriore sviluppo di notevole importanza riguarda il notevole miglioramento delle hitbox dei nemici e la suddivisione delle zone di impatto. In passato, alcuni obiettivi risultavano sorprendentemente poco realistici, al punto che grandi strutture potevano essere distrutte mediante attacchi casuali in qualsiasi punto della superficie. Ora, invece, si rende spesso necessario colpire aree specifiche, protette da corazze che respingono con decisione i proiettili. Questa evoluzione tecnica incide direttamente sulla dinamica di gioco, rappresentando un ulteriore segno tangibile della modernità e dell’attenzione dedicata allo sviluppo di questo Armored Core.
Alcuni dubbi sorgono riguardo al PvP. Durante il nostro periodo di prova, non siamo stati in grado di condurre un test esaustivo della sua stabilità. Tuttavia, sulla base delle nostre osservazioni, la componente competitiva del gioco offre duelli 1 contro 1 e 3 contro 3 estremamente divertenti. In tali scontri, la scelta accurata della configurazione di gioco assume un’importanza particolarmente significativa. È ragionevole attendersi che entro pochi mesi emergano combinazioni e strategie ad alto livello.
Tuttavia, emerge un problema: all’interno della modalità PvP, sembra del tutto assente un sistema di matchmaking online. Attualmente, l’interazione avviene esclusivamente attraverso lobby. Benché questa decisione favorisca la stabilità dell’esperienza di gioco online (una questione che spesso affligge le produzioni di FromSoftware), al contempo potrebbe circoscrivere la partecipazione al PvP a comunità ristrette e siti specializzati. Resta da vedere se questa situazione subirà cambiamenti al momento del lancio o in futuro. In generale, tuttavia, il PvP costituisce un elemento essenziale della serie e la sua implementazione è motivo di apprezzamento.