“Narriamo un racconto. Optiamo per un contesto non necessariamente unico, bensì una consueta stazione spaziale in cui un evento s’innesca. L’equipaggio sperimenta una misteriosa scomparsa e si impone la necessità che qualcuno si assuma l’onere d’indagare. Tuttavia, adottiamo una prospettiva inedita e matura in quest’impresa. Infondiamo profondità nell’approccio, dimostriamo impegno nel nostro sforzo e articoliamo una rappresentazione visiva di eccellenza. Inoltre, selezioniamo interpreti di notevole talento per dare vita al progetto.”
Probabilmente, questo è ciò che gli sviluppatori del team indipendente inglese Fallen Leaf hanno considerato mentre pianificavano la concezione del loro primo titolo, Fort Solis. Infatti, sebbene gli elementi narrativi del gioco non possano essere definiti come inediti, a parte una trama destinata a sconvolgere ma per ragioni differenti da quelle consuete, è proprio l’implementazione scenica che conferisce un nuovo significato e arricchisce l’intera esperienza.
Quanto valore offre? Per quale durata persiste? E come avviene, con precisione? Tutti questi dettagli verranno esaminati nella nostra recensione di Fort Solis.
Storia: c’è vita su Marte
Siamo nell’anno 2080 e l’ingegnere responsabile della manutenzione, Jack Leary, si trova attualmente in servizio presso la colonia marziana. In un momento cruciale, riceve una richiesta d’aiuto proveniente dalla stazione mineraria denominata Fort Solis. Senza indugio, egli si consulta con la sua collega, Jessica, e diventa evidente che questa emergenza è destinata a stravolgere le loro ordinarie attività. Nella situazione attuale, risulta indispensabile adoperarsi immediatamente: non vi è altra opzione che prendere uno dei veicoli disponibili e dirigere verso l’insediamento minerario per indagare sulla ragione per cui ogni tentativo di comunicazione o verifica sia rimasto senza risposta.
Dopo essere giunto al luogo indicato, Jack si rende conto che i protocolli di sicurezza hanno attivato un blocco alle porte. Così, si vede costretto a trovare un metodo creativo per guadagnarsi l’accesso. Avviando con cautela un’ispezione, si avventura nei corridoi della stazione e inizia ad esplorare le varie stanze, nell’intento di scoprire indizi sullo sviluppo degli eventi. Nel frattempo, raccoglie documenti e videolog provenienti dagli scienziati che operavano su Fort Solis. Questi materiali forniscono una panoramica di coloro che stavano lavorando instancabilmente, evidenziando il loro coinvolgimento in un’ambiziosa sperimentazione: la creazione di un nuovo tipo di terreno con caratteristiche eccezionali.
Il ritmo del gioco si presenta deliberatamente lento, in armonia con il passo del protagonista che si sposta con calma all’interno dell’ambientazione. È da notare che il movimento del personaggio non permette un aumento di velocità: tale scelta è stata compiuta dagli sviluppatori per veicolare la narrazione e plasmare specifiche atmosfere. Indubbiamente, il risultato finale da questa prospettiva risulta estremamente affascinante, anche se, in senso puramente videoludico, può apparire poco pratico.
Tuttavia, l’attesa si rivela ampiamente gratificata grazie alle straordinarie performance di attori del calibro di Roger “Arthur Morgan” Clark, Julia Brown e, naturalmente, Troy Baker. I loro contributi conferiscono ai rispettivi personaggi una profondità notevole e trasmettono sullo schermo situazioni ed emozioni che raramente sono state rappresentate in modo così eloquente all’interno di un contesto videoludico.
Gameplay: walking simulator o qualcosa di più?
All’interno di Fort Solis non si verificano scontri né si riscontrano complesse meccaniche di gioco: sotto questo aspetto, il titolo “Fallen Leaf” si avvicina notevolmente al genere dei “walking simulator”. Tuttavia, bisogna rilevare la presenza di vari quick time event e piccoli enigmi da risolvere, che almeno aggiungono un elemento di interattività all’esperienza complessiva. Il ciclo di gioco si ricollega a uno schema classico, in cui la raccolta di chiavi di accesso consente progressivamente l’entrata in nuove zone della stazione.
Indubbiamente, l’obiettivo degli autori era focalizzato sulla narrazione e sulla sua qualità, piuttosto che su altri aspetti. Pertanto, la relativa brevità della campagna, che siamo riusciti a completare in appena tre ore e poco più, non costituisce una sorpresa. Tuttavia, sarebbe stato gradito avere la possibilità di rigiocare con la capacità di correre già sbloccata, in modo da recuperare le informazioni e gli oggetti che erano rimasti inaccessibili durante la prima partita.
Dopo aver visualizzato i titoli di coda, ci è sorta la curiosità di capire se i risultati ottenuti nei quick time event più cruciali avessero un impatto significativo o addirittura portassero a cambiamenti nel percorso. Abbiamo ipotizzato che il team di sviluppo avrebbe diffuso ampiamente tali variazioni. Tuttavia, tale aspetto non è stato oggetto di pubblicizzazione da parte dello sviluppatore. Alla fine, è questo il nucleo di ciò che Fort Solis propone: un viaggio breve ma intenso, apprezzabile per la sua narrativa, ma che potrebbe suscitare sentimenti di critica per le sue limitazioni dal punto di vista dell’interattività ludica.
Inoltre, la mancanza di una localizzazione in italiano, compresi i sottotitoli, potrebbe scoraggiare soprattutto l’approfondimento marginale, tradizionalmente legato all’esplorazione di documenti e registrazioni video che sono di ausilio per tracciare il corso degli avvenimenti e per comprendere appieno ciò che si è veramente verificato all’interno di quei confini di acciaio. Questo aspetto giunge fino a un epilogo che, in molti aspetti, ha un effetto destabilizzante.
Realizzazione tecnica: grande spettacolo, pochi frame
Se si considera la narrazione come l’elemento centrale di Fort Solis, è sicuramente corretto affermare che il reparto tecnico ne costituisce una solida base. Risulta indubbiamente singolare che un team di sviluppo indipendente sia riuscito a realizzare una grafica di tale calibro; dal punto di vista qualitativo, ci troviamo nell’ambito di titoli come “The Callisto Protocol”, e potremmo addirittura dire che, sul fronte delle animazioni, siamo a un livello superiore, sebbene la diversità visiva dell’opera realizzata dallo Striking Distance Studio sia ineluttabilmente maggiore.
L’aspetto sorprendente sta nell’impiego di risorse di alta qualità, quali asset pregiati e personaggi finemente dettagliati e animati tramite la tecnica di motion capture, per supportare una regia straordinariamente matura e persuasiva. Soprattutto nelle scene cruciali, emerge una competenza profonda nell’arte di concepire sequenze specifiche all’interno di un contesto videoludico. In tutta sincerità, ciò ci ha richiamato alla mente “The Last of Us Parte 2”.
L’attenzione scrupolosa dedicata all’illuminazione, la composizione accurata delle inquadrature, il design sonoro essenziale ma pregnante, e persino alcuni elementi dell’interfaccia, come il colore che distintamente segnala le porte chiuse o aperte già da lontano, evitandoci così di raggiungerle solo per verificarlo, sono tutti elementi che enfatizzano un elevato livello di cura nella realizzazione. Ci si augura che tali caratteristiche possano essere presenti in un maggior numero di produzioni.
Successivamente, in un modo simile a quanto descritto nella recensione di “Immortals of Aveum”, anche in questo caso l’ampio utilizzo dei sofisticati effetti resi possibili dall’Unreal Engine 5 si traduce in prestazioni che non riescono a suscitare un entusiasmo. La modalità a 60 fotogrammi al secondo non riesce a raggiungere questa soglia, eccetto quando ci si trova all’interno di piccole stanze, mentre quella a 30 fotogrammi al secondo risulta altrettanto instabile e carente di coerenza.